STORIE DI VITA ALLA RICERCA DI UNA SOGGETTIVITÀ NUOVA.
Pubblichiamo le riflessioni di Melita Richter Malabotta – professoressa di sociologia, saggista e mediatrice culturale originaria di Zagabria, sulla mostra L’Europa dei destini incrociati, inaugurata a Trento e Kraljevo nel mese di maggio e che si appresta a migrare attraverso i territori italiano e balcanico, con una serie di repliche che prontamente saranno comunicate attraverso il nostro sito. Ricordiamo che per chi fosse interessato ad ospitare la mostra può contattarci all’indirizzo info@trentinobalcani.eu.
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Trento, 16 maggio 2014
STORIE DI VITA ALLA RICERCA DI UNA SOGGETTIVITÀ NUOVA. Riflessione ai margini della mostra L’EUROPA DEI DESTINI INCROCIATI.
Di Melita Richter Malabotta
Non è facile raccogliere le riflessioni sulla Mostra multimediale che l’Associazione Trentino con i Balcani ha realizzato sul tema L’EUROPA DEI DESTINI INCROCIATI – Storie di cittadini in movimento tra Balcani, Italia e Germania, non lo è ora mentre tento di farlo, perché una nuova difficile prova di sopravvivenza è richiesta a una parte della popolazione della Bosnia, Serbia, Croazia, i cui territori sono stati colpiti dalla furia delle acque, da un’alluvione dalle dimensioni smisurate, da un disastro naturale che ha violentemente modificato la carta geografica di intere aree, ha eroso monti, fatto franare colline, inondato campi coltivati, coperto d’acqua le strade, rovinato i ponti, divelto i binari dei treni spostandoli dalla loro sede, allagato le abitazioni, danneggiato gli averi delle persone, vanificato l’operosità di intere generazioni, coperto abitati di fango, ucciso uomini e bestiame, trascinato le mine dai campi che ora fluttuano ‘libere’ di uccidere… Un’altra volta i destini di queste popolazioni così fortemente provate dalle guerre degli anni ’90 s’incrociano e prepotentemente attualizzano il tema delle migrazioni indotte, delle privazioni, delle perdite. Ma attualizzano anche il tema della solidarietà e umana condivisione. Con questo pensiero mi accosto al tema che la Mostra propone, un tema universale perché le migrazioni di cui parla e le narrazioni che raccoglie, non toccano soltanto le popolazioni dell’area balcanica, sono anche’esse esperienze di umana condivisione europea, sono il nostro dna di cittadini, non da oggi meticci, non da oggi definiti dalla mutua inter-relazionalità e interdipendenza.
E’ necessario dirlo subito: la Mostra L’EUROPA DEI DESTINI INCROCIATI, non indaga soltanto sugli spostamenti indotti, fughe e profuganze, essa ci propone storie di vita segnate delle migrazioni volontarie e di scelte libere, o almeno interpretate in questo modo, a volte guidate da una necessità economica, a volte ‘per conoscere il mondo’. Come scrivono i curatori, “Il progetto affronta la tematica delle migrazioni attraverso una raccolta di testimonianze di persone che hanno, per diversi motivi, lasciato il loro luogo di origine. L’obbiettivo è quello di ricostruire le ragioni, la volontarietà o meno, ma anche gli stati d’animo e le diverse esperienze vissute dalle persone migranti.”
Le persone che sono state intervistate e le cui storie suddivise in cinque aree tematiche diverse scorrono su altrettanti schermi dislocati nello spazio suggestivo nel Tridentvm, il sito archeologico sotterraneo di Trento, sono originarie della Bosnia-Erzegovina, Serbia e Kossovo. Si tratta di ex concittadini di un paese plurale che non esiste più. Tutti ‘dislocati’, emigrati, spostati in altre aree culturali, linguistiche e geografiche dell’Europa, o nei nuovi stati nazionali nati sulle ceneri della Jugoslavia socialista. Attraverso la loro narrazione si narra un epoca ormai remota, non tanto per il tempo al quale i racconti si riferiscono, ma per il fatto che abbracciano un territorio politicamente, culturalmente e socialmente cancellato. Saranno le voci di queste persone raccolte in emigrazione in Italia, in Germania e in diverse aree balcaniche, a restituire l’identità collettiva a un’epoca in cui si diramano i racconti soggettivi. Quelli che parlano del ‘prima’ e del ‘dopo’ della partenza. Nelle 80 ore di interviste suddivise in cinque aree tematiche che comprendono
1. LE ORIGINI;
2. LA SCELTA. perché partire?;
3. IL VIAGGIO. Oltre il confine;
4. UN CONTESTO NUOVO;
5. RITORNO ALLE ORIGINI: nostalgia, indifferenza, rifiuto.
si scandaglia un percorso migratorio di significati universali che inevitabilmente apre l’interrogazione sull’identità: identità plurale, oppure quella profondamente sentita come monoculturale, e ancora, l’identità liminale delle persone che per la loro posizione liminale nella società – piuttosto la non appartenenza che appartenenza – coltivano un rapporto particolare verso la memoria. Nella loro narrazione i riferimenti ai concetti spaziali “là” e “qui” saranno i più frequenti. Nel passaggio da uno all’altro si cela la loro esperienza umana migrante in tutte le sfaccettature che comprendono la modalità del viaggio, ma prima ancora il ‘perché’ del viaggio.
I ricordi di una vita ‘là’ e di ‘allora’ saranno incisi e raggelati nei ricordi di appartenenti delle generazioni più anziane, di coloro che hanno passato l’infanzia, la giovinezza e l’età matura in un paese in pace, di buoni rapporti di vicinato e di buone opportunità lavorative. Per molti sarà proprio la perdita del posto di lavoro, la chiusura delle fabbriche e l’insicurezza esistenziale, una delle cause della partenza. Per altri, saranno le grinfie dell’intolleranza etnica e il nazionalismo minaccioso degli anni ’90, che mai avevano conosciuto prima, il motivo che li spingerà ad abbandonare le proprie case. Nonostante i loro racconti non prendano mai la piega di una denuncia politica, le semplici parole che pronunciano non sono prive di un peso enorme che come un macigno aveva marcato le loro vite e circoscritto la prassi politica fondata sulla costruzione dell’altro, etnicamente diverso, nemico. E allora dalle narrazioni emergono lentamente le parole: sulla porta apparve la polizia, i militari… ci dissero ‘balija’ … Suva Reka…tutto il villaggio era serbo…si doveva partire…l’esercito fermava perché volevano soldati per combattere in Bosnia… avevo paura di essere reclutato…
Tasselli sufficienti di una lettura politica che non può eludere il concetto di responsabilità.
Alle modalità della partenza sono dedicate brevi descrizioni: prima è partita la madre… sono andato da solo, raramente partiva la famiglia completa… mi sono informato sul sistema politico d’asilo… per riprendere poi il racconto sulle vie d’integrazione nel nuovo paese e/o nuovo ambiente culturale nel quale si cerca ospitalità e integrazione, nel quale si ricostituisce quella appartenenza che significa essere a casa. E da questa nuova prospettiva si misura la distanza della vita precedente, si cerca di ricomporre la biografia forzatamente recisa. Si conclude spesso: là non c’è più vita per me. Tra i giovani questa distanza è ancora più accentuata: io non ho alcuna nostalgia, non penso di tornare, ancora finché c’era vivo il nonno… C’è chi ci tiene a mantenere le tradizioni, l’identità linguistica e religiosa altrove, specialmente se il gruppo etnico è ridotto a pochi soggetti appartenenti allo stesso nucleo famigliare o amicale, attorniato da lingua, cultura e tradizioni nuove, chi invece assorbe le conoscenze linguistiche del nuovo paese in fretta, si appropria di nuovi codici culturali con facilità e riesce a ricavarsi una nicchia di lavoro. Magari, ‘lo stesso che facevo in Kosovo; produco e vendo gelati nell’azienda familiare’. Chi invece sogna il ritorno, consapevole che ormai…sono quattro decenni che sto qui, in Germania…
C’è infine chi a questo sogno ha dato risposte concrete: noi bosgnacchi siamo tornati spontaneamente, se avessimo chiesto il premesso nessuno ce l’avrebbe concesso. Infatti, il benvenuto nella mia città l’ho avuto con una bomba. Ma ritenevo che il mio posto fosse qui, nella mia casa. E ora, la gente ha cominciato a ragionare; non è più importante come uno si chiama ma chi è la persona… Nella mia città Prijedor, la prima passeggiata che ho fatto dopo il rientro, è stata difficile. E’ difficile quando nella propria città non vi è alcuno a cui poter dire ‘buon giorno’, non vi sono persone che conoscevo… E chi, nonostante munito di un bagaglio culturale e professionale solido, spostandosi per es. dal Kosovo a Belgrado, si troverà ad affrontare notevoli difficoltà di integrazione e differenze ‘di mentalità’.
Spesso gli spostamenti all’interno dell’area balcanica che potrebbero sembrare più ’facili’ dal punto di vista dell’adattamento di coloro che comunque dispongono di conoscenze culturali e linguistiche sufficienti per poter collocarsi in una nuova dimensione relazionale, non lo sono affatto. Perché il tessuto sociale e culturale preesistente, basato sul riconoscimento dell’altro come cittadino portatore dei diritti e non su base etnica, ora è profondamente cambiato, sbilanciato, asimmetrico.
Nessuno degli intervistati parlerà della perdita dei diritti politici e/o di cittadinanza, ma diversi testimonieranno delle situazioni di non riconoscimento dei titoli di studio, di umiliazioni e di disprezzo vissuti in un’Europa mitizzata che, comunque, ha aperto le proprie porte per accoglierli. Una donna bosniaca con il capo coperto testimonierà non soltanto del mancato riconoscimento del titolo di studio, ma di un’evidente situazione di disprezzo visto che le si chiede se sa cosa sia l’aspirapolvere e le si indica ‘dove pigiare il bottone’. Storie da ‘terzo mondo’ in quello solitamente considerato ‘il primo’, dove tutto è bello per l’occhio, ma per l’anima no. E in questo mondo primo, altre persone testimonieranno: nessuno voleva darci un appartamento in affitto perché eravamo stranieri.
Queste e tantissime altre esperienze iscritte nel percorso migratorio delle persone provenienti dall’area indicata come parte dei Balcani, ci riportano a riflettere sulla storia universale di genti in cammino, sull’identità europea e sui significati che i concetti casa, partenze, ritorni, rimpatri, visibilità pubblica e diritti di cittadinanza acquisiscono negli spazi sempre più transculturali e transnazionali da una parte, e il loro significato negli stati nazionali dove le nuove minoranze etniche sono state create dopo le cruenti guerre degli anni ’90, dall’altra. In questo spazio tra, geografico e temporale, spesso caratterizzato dalla non visibilità dei destini personali, del silenzio, delle biografie scisse tra i due mondi, l’operosità umana e la voglia di riappropriarsi delle condizioni di vita, che semplicemente significa di governare il proprio futuro, emergono vigorosi. La Mostra multimediale che l’Associazione Trentino con i Balcani ci ha offerto, che tra gli obbiettivi si prefigge di aumentare la conoscenza e la comprensione dei nuovi cittadini migranti nei paesi d’origine e d’adozione, è un momento prezioso di riflessione su un tema di grande attualità al di fuori delle emergenze balcaniche e delle sporadiche ritualità di celebrazioni mediatiche. E’ un tema che tocca tutti. Per chi poi è ‘di quelle parti’, il regalo è ancora più grande, perché nessuno dei percorsi personali dei quali possiamo seguire tracce sugli schermi, erige i confini di odio e di intolleranza. Semplicemente narra. Le parole diventano mattoni nella costruzione di una soggettività nuova, pubblica. Le parole che, pronunciate in quella Babele di diverse lingue native e di adozione che si intrecciano nello spazio espositivo, testimoniano di per sé la ricchezza di un patrimonio culturale plurimo che non va disperso.
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