Raccontare i Balcani Occidentali è un compito arduo, vista la molteplicità di culture, religioni, usanze, tradizioni e confini. Ci proveremo raccontandovi in un viaggio di parole e immagini le terre e le città che abbiamo imparato a conoscere passo dopo passo grazie alle persone che hanno collaborato con noi e che ci hanno ospitato e raccontato la loro storia e la loro quotidianità.
I Balcani Occidentali si trovano nel cuore dell’Europa; si affacciano sul Mar Adriatico, proprio dirimpetto alle coste della nostra Penisola. Sono luogo di storia, ne producono più di quanta riescano a digerirne, è stato scritto. Sono noti per l’inizio della Prima Guerra Mondiale, per il periodo socialista di Tito e per le guerre degli anni ’90, per citare solo alcuni degli avvenimenti più recenti. I Balcani sono in fase di adesione all’Unione Europea e lavorano per adattarsi agli standard europei. I Balcani sono ora nuovamente sulle prime pagine dei giornali, toccati dai flussi di rifugiati provenienti dall’est. I Balcani sono però, anche, i nostri interminabili viaggi in auto tra Trentino e Balcani, gli incontri con che vive e costruisce i Balcani, lo stupore di un territorio molto vario e interessante che colpisce per le sue bellezze naturali, l’ospitalità dei suo abitanti e la ricchezza della sua cucina, ma anche per la convivenza di stili architettonici diversi, a tratti opposti: austroungarico, ottomano e socialista.
E allora, partiamo da Trento, lungo la Valsugana, tra le montagne trentine. Solo qualche ora e siamo al confine tra Friuli e Slovenia: qualche metro e siamo all’estero, ma ancora in Europa. Eppure tra Slovenia e Croazia, ancora in territorio dell’Unione Europea (dal 2013), i controlli ce li fanno comunque. Ci interroghiamo su questo nuovo allargamento, ci stupiamo in continuazione di come i Balcani siano accerchiati dall’UE, ma non ancora inclusi.
La Slovenia, un piccolo paese con poco più di 2 milioni di abitanti, il primo ad entrare in Unione Europea (nel 2004), colpisce per la sua somiglianza all’Austria: montagne, colline verdi, piccoli borghi e i caratteristici kozolec, gli antichi fienili (a spalliera) tipici delle fattorie dell’impero austro ungarico .La Croazia che attraversiamo è un territorio rurale e pianeggiante, utilizzato per le coltivazioni di barbabietola da zucchero, frumento, mais, patate e olio di colza.
Al confine tra Croazia e Serbia i controlli alle dogane sono puntigliosi e spesso si creano lunghe code: siamo sul confine dell’Unione Europea. Continuiamo sulla E70, strada europea. Ci fermiamo spesso a Belgrado: per una pausa e per rifarci gli occhi. Belgrado è maestosa,, culturalmente viva e sempre più meta turistica al pari delle altre capitali europee e sede dell’università più antica della penisola. Sta nel punto di confluenza tra i fiumi Sava e Danubio. Ha circa 1.600.000 di abitanti, riporta ancora i segni della storia, per non dimenticare.
Proseguendo verso Sud, prima tappa: Kragujevac. Incontriamo i nostri colleghi, incontriamo Suzana, psichiatra della Dom Zdravlja. Beviamo un caffè, chiacchieriamo, progettiamo. Kragujevac (ca. 180.000
abitanti), è la quarta dittà del paese è una cittadina diversa da Belgrado, molto più “tradizionalmente” serba. Storicamente legata all’Italia per via dello stabilimento Zastava, la cugina jugoslavia della FIAT (bombardata dalle truppe NATO nel 1999), che nel 2011 ne ha acquisito gli stabilimenti. Legata al Trentino, grazie ad un progetto di promozione della psichiatria di comunità, è stata la prima città della Serbia a dotarsi di un servizio di salute mentale territoriale, l’indomani dell’approvazione della prima Legge per la tutela dei diritti delle persone con disagio mentale, nel 2013. Una breve deviazione verso sud est ci porta a Kraljevo, fino agli anni 80 centro economico fiorente, poi, come Kragujevac entrata in una depressione economica senza precedenti durante gli anni 90 e che ancora fatica ancora a riprendersi dal collasso economico e che conta un triste 40% di disoccupati tra la popolazione. Un tempo sede di importanti centri termali e industrie jugoslave, l’economia della città si basa oggi su piccole imprese artigiane, qualche industria e sull’agricoltura e allevamento.
L’autostrada finisce a Niš. Da lì in poi proseguiamo su strade che collegano città e paesi. La vista è decisamente piacevole. Sono città che raccontano il quotidiano della Serbia: case basse e colorate in centro, panettieri, scuole, parrucchieri, alti palazzi sullo sfondo. La strada si fa dissestata nella zona più vicina al confine, e spesso si riempie di macchine e camion in attesa al confine. Serve il passaporto per entrare in Kosovo. Il paesaggio non cambia per nulla, ma subito si nota un elemento nuovo: moschee e minareti ci dicono che siamo in Kosovo.
Ci spostiamo a ovest, verso Pejë/Peć, la nostra “casa” kosovara. Sulla via, incontriamo Pristina, che con quasi 550 mila abitanti è la capitale del Kosovo. È una città caotica e viva. Alla periferia stanno nascendo enormi agglomerati di case e palazzi moderni. Si trovano stili architettonici vari, costruzioni antiche, costruzioni del periodo socialista, costruzioni nuove e palazzi molto eleganti; moschee, chiese ortodosse e una cattedrale cattolica imponetene dedicata a Madre Teresa di Calcutta. Il centro città è una via pedonale, recentemente restaurata, che si anima di passanti, venditori di pop corn, zucchero filato, castagne e palloncini, qualche bancarella di libri, periodicamente delle casette con esposizioni tematiche, gruppi che raccolgono firme per qualche progetto o petizione. Di Pristina colpisce l’architettura della biblioteca universitaria, struttura di ferro con cupole bianche, che si rifanno forse al plis, il tipico copricapo di feltro bianco, o alla pianta collinare dei dintorni di Pristina. Il Kosovo è stato distrutto durante la guerra degli anni ’90 e ricostruito a partire dagli anni 2000, ha proclamato la sua indipendenza dalla Serbia nel 2008, dove per alcuni anni hanno convissuto amministrazione parallele kosovare e serbe. La sua popolazione è in prevalenza albanese, con minoranze rom, serbe e bosniache, mentre la religione principale è quella musulmana (96%) seguita da quella cattolica (2%) e ortodossa (2%)
Pejë/Peć (che chiamiamo con il suo nome albanese e il suo nome serbo) invece è una città più tranquilla e molto verde, porta verso la Val Rugova e le Montagne Maledette che la collegano al Montenegro. Ha ancora forti tratti tradizionali, ma durante l’estate si anima di kosovari che ormai vivono da molti anni all’estero e che portano una ventata di novità e caoticità. Città che vanta la prima via ferrata della Penisola Balcanica e che ha fatto del turismo di montagna il suo settore di punta per una necessaria ripresa economica. La città conta quasi 100 mila abitanti e a causa del conflitto e della relativa crisi economica ha un tasso di disoccupazione del 35% che raggiunge il 60% tra i giovani. La sua economia si basa prevalentemente su agricoltura, ristorazione e commercio.
E si rientra in Italia. Ci capita un giorno di avere con noi un passeggero che senza carta d’identità non può passare il confine tra Kosovo e Serbia. Ci muoviamo quindi verso il Montenegro, per poi risalire la costa croata. Il Montenegro è rinomato per le sue coste, ma l’entroterra toglie ugualmente il fiato. Particolarmente montuoso e molto verde, ha un fascino incredibile e strade particolarmente tortuose! Quindi Croazia, Bosnia per qualche chilometro e di nuovo la costa corata, il mare azzurro, la roccia bianca e la vegetazione mediterranea.
La Bosnia l’abbiamo toccata in occasione di viaggi con altre destinazioni. Accompagnare giovani a scoprire Sarajevo è una delle cose più difficili e interessanti. Raccontare cos’è la Bosnia richiede tempo, esplorazione della storia e comprensione di una guerra che ha coinvolto tra vincitori e vinti tutte le parti; vedere come i giovani la leggono oggi è stupefacente e regala punti di vista inesplorati. La primavera in Bosnia regala colori e profumi che affascinano. Il blu dell’acqua, la pietra bianca che spostandosi dalla costa lascia spazio a un verde estremamente vivido, il bianco delle città, e Sarajevo. Il profumo del caffè e del narghilè, la mescolanza di stili e tradizioni.
Tornati a Trento, i Balcani mancano. Sono in molti a parlare di mal di Balcani. Non ne dubitiamo. Noi ci torniamo a cadenza più o meno regolare. Ci andiamo per lavoro, ma sempre con gran piacere nel rincontrare questo mondo così uguale, così diverso, così europeo….così nostro.